Una nuova voce per Gostanza, la strega di San Miniato

La classe IV AL del Liceo San Giovanni Bosco di Colle di Val d’Elsa ha interpretato e riscritto con nuova sensibilità le parole di Gostanza di San Miniato. Il laboratorio di lettura della fonte si è tenuto a partire dalla trascrizione del processo curata dal prof. Cardini.

“Arrivò così il giorno della mia cosiddetta udienza della fune.
Mi trovai di fronte a cinque uomini che avevano l’aria di sapere già quale fosse la mia sentenza.

Fui subito legata e sentii la morsa della corda stretta intorno ai polsi.
Cominciarono l’interrogatorio chiedendomi se fossi solita “misurare i panni”, nonostante io negassi più volte di non aver mai praticato arti magiche o stregonerie, essi non sembravano accettare la mia risposta. La corda continuava a stringere talmente forte da obbligarmi ad ammettere, ormai arresa, di averlo fatto talvolta in passato. Ma cosa dovevo ammettere? cosa volevano che io dicessi loro affinché questo strazio potesse finire.

Cercai di dimostrare più volte quanto io fossi legata a Dio, ma i lacci della fune erano ben più forti di quelli della fede e alle domande vi era una sola risposta giusta, la loro. Mi alzarono su per la fune, e mi sentii tutte le ossa rotte. Pregai con tutta la mia forza, appellandomi alla misericordia degli inquisitori, nella speranza che prendessero per vero ciò che stavo dicendo e mi scendessero dal macchinario; ma ormai nella completa agonia della fune e non più lucida non potei fare altro: tra le lacrime ammisi tutto e vidi i loro occhi finalmente soddisfatti della mia risposta.

Avendo così confermato ciò che loro si aspettavano, cominciarono a domandarmi quali fossero state le mie vittime. Negai ogni mio legame con tale accusa, ma ormai sapevo che la mia condanna era già stata scritta e dovevo soltanto rispettare il loro copione, sentito più volte da molte donne. Cominciai quindi ad inventare nomi di punto in bianco per le suddette malie,
Domenico di Giusto, un giovane di nome Matteo, proveniente da Montefoscoli. Ma non bastava, non volevano che fossero eventi così passati, lo leggevo nei loro occhi tutte le volte che la stessa domanda mi veniva posta, allora cominciai a menzionarne di più recenti. Ottenuta la risposta da loro voluta continuarono con le domande, ma io ancora provavo un tale dolore e una tale paura causata dalla fune, che non potei che continuare questa farsa perché volevano di più, non volevano me, volevano qualcuno da accusare.

“Quanti di questi sono morti?”. Ero stata disposta a mentire fino ad adesso, ma mentire sulla morte di alcune persone, sebbene inventate, andava contro i miei principi, così cercai di rimanere vaga accusando la memoria di aver dimenticato, nella speranza che procedessero alla successiva domanda, ma dovevo aspettarmelo; volevano prendersi tutto da me, volevano che come tutte le donne legate a questa fune io ne uscissi colpevole. Fui quindi costretta a dire un numero; essere innalzata un’altra volta mi
avrebbe portato alla morte, ne sono sicura.”

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Il Dantedì della Società Storica coinvolge i licei colligiani

Sabato 25 marzo è stato il Dantedì, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri. La data è quella che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia. Le scuole sono state, come ogni anno, protagoniste delle celebrazioni, con momenti di riflessione, produzione di elaborati, eventi dedicati al Sommo Poeta.

La Società Storica della Valdelsa ha organizzato, per l’occasione, un incontro tra tutte le classi del triennio dell’Istituto San Giovanni Bosco e del Liceo Volta con il prof. Paolo Cammarosano, storico medievista presidente della Miscellanea Storica della Valdelsa.

Le studentesse e gli studenti dei licei colligiani hanno assistito e partecipato con curiosità e domande alla lezione del professore dalla platea del Teatro del Popolo, dalle 11 alle 13 di sabato 25. Cammarosano è tornato a Colle dopo il recente conferimento della cittadinanza onoraria della città il 18 febbraio scorso.

Agli studenti è stato proposto un viaggio nella Firenze di Dante, nelle sue dinamiche politiche e ideologiche, tutto in costante collegamento con i versi della “Commedia”, con i suoi personaggi, con i problemi e con le emozioni che il grande poema suscita. Ha costituito una traccia importante dell’incontro, utile anche per chi volesse approfondire il tema, l’ultimo libro del prof. Cammarosano su Dante: “Giudizio umano e giustizia divina”, edito da CERM.

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Visita a “Trasumanar” di Calvetti

Arricchire l’arte attraverso altra arte. É così che possiamo riassumere “Trasumanar” la mostra di Fabio Calvetti alla Gerusalemme di San Vivaldo. L’artista è infatti stato invitato dal comune di Montaione a realizzare un percorso espositivo all’interno delle cappelle del Sacro Monte.

Le opere di Calvetti si collocano in maniera originale ed innovativa e accompagnano i gruppi scultorei presenti all’interno delle cappelle. Il tutto attraverso l’utilizzo di stili diversi non solo per quanto riguarda la pittura ma anche grazie ad opere tridimensionali e ad installazioni multimediali. L’autore dispone le sue opere sfruttando gli spazi che ha a disposizione e tenendo in considerazione elementi come il passaggio dei visitatori, la luce presente all’interno delle strutture, la sua interpretazione e infine il messaggio che vuole far recepire.YIAC0573

Il risultato ottenuto è un percorso di opere tradizionali e sue interpretazioni, di opere antiche e contemporanee, di scultura ed altre forme artistiche in un dialogo che arricchisce e ringiovanisce le opere all’interno delle cappelle.

Noi della classe 5CP del Liceo Economico Sociale abbiamo avuto il privilegio di assistere alla mostra guidati dall’artista stesso che ci ha illustrato le tecniche di realizzazione delle opere e le sue fonti di ispirazione, ha risposto alle nostre curiosità e concesso un’intervista.

“Trasumanar”, visitabile fino al 31 ottobre 2019, ha donato visibilità alle cappelle di San Vivaldo e permesso, soprattutto a noi studenti, di riscoprire un importante patrimonio artistico del nostro territorio.

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Intervista a Fabio Calvetti (terza parte)

I. A partire dai primi anni ’90 la sua attività espositiva si è svolta prevalentemente all’estero. Per quali motivi?

F. C. Di fatto è stata una scelta obbligata dalle difficoltà che un giovane artista ancora poco conosciuto aveva a rapportarsi con le gallerie più inclini a puntare su artisti già affermati. Per contro all’estero ho trovato maggiore disponibilità a considerare l’opera e non il nome. E’ stato il caso della Francia, dove ho vissuto un’esperienza importante anche da un punto di vista umano. Ho collaborato infatti con un piccolo gruppo di artisti, che volevano promuovere l’arte a Perpignan e nel Roussilon mediante scambi con artisti internazionali. Furono loro a contattarmi perché avevano visto mie opere in alcune gallerie. Ricordo tanti bei momenti mentre trascorrevo alcuni giorni con loro a discutere di questioni artistiche e intanto presentavo le mie opere in mostre personali in località come Toulouse, Bages ma anche una volta a Mannheim in Germania. Si trattava di un legame libero, in cui ci piaceva condividere esperienze e passioni.

I. Un altro Paese che l’ha vista spesso esporre in quegli anni è il Giappone.

F. C. Sì, e in questo caso tutto è nato grazie al gemellaggio in corso tra il Comune di Certaldo e quello di Kanramachi, cittadina a 150 kilometri da Tokio. Nel 1991, all’interno di uno scambio culturale, ho potuto fare una mia personale non solo a Kanramachi ma anche a Yokohama e Tokio. Ricordo che a Tokio era ospitata in una importante galleria privata, la Inginza, e così a Yokohama. Quando, presentando il proprio lavoro in un contesto così lontano, riscontrai grande attenzione e apprezzamento per la mia opera, decisi di continuare la mia avventura in quel Paese.. Cominciai a prendere contatti con quel mondo e a propormi come artista ad alcune gallerie. Da qui nacquero in quel periodo eventi per me importanti, tra cui altre due personali a Tokio.

I. Si è mai chiesto le ragioni del suo successo nel Paese del Sol Levante?

F. C. Da subito ho ammirato quel popolo perché ha una grande attenzione per le varie forme artistiche… Ho notato poi che i giapponesi dividono nettamente la cosiddetta arte tradizionale, caratterizzata dalla loro tecnica legata alla carta di riso e colori minerali, da quella cosiddetta occidentale che ha libertà di tecnica, e tra le due non è previsto nessun tipo di intersezione. Ritengo che una forte curiosità possa aver destato l’opera di un artista italiano, rappresentante di una cultura da loro molto considerata. Dai tanti colloqui che ho avuto con critici locali, galleristi, collezionisti, ho potuto poi capire che esiste una certa vicinanza tra il mio modo di intendere la struttura compositiva dell’opera, che elimina ogni ridondanza per concentrarsi sull’essenza delle forme, e che trova riscontro nel minimalismo che io conferisco alle mie composizioni, con il loro gusto artistico. Dal punto di vista cromatico poi la presenza del colore rosso nelle mie opere può essere per loro evocativo perché richiama il simbolo nazionale, la bandiera, di cui è al centro.

I. E in quel periodo è avvenuto il suo incontro con un importante gallerista giapponese.

F. C. Esatto, si tratta di Shiraishi Yokio. Era il 1997 e mi sembra interessante raccontare come questo sia avvenuto. Shiraishi aveva visto per caso un mio quadro a casa di un pittore giapponese con cui avevo un’amicizia. L’aveva subito notato a apprezzato fino al punto di venirmi a trovare a Certaldo. Inizialmente io non avevo percepito la sua vera importanza nel panorama del mercato giapponese; mi colpì comunque il fatto che lui era partito apposta da Tokyo in compagnia della sua segretaria per raggiungermi in Italia nel mio studio. Appena ebbe visto nel complesso la mia produzione artistica, Shiraishi non solo mi propose di presentarla nella sua galleria ma anche di partecipare ad un progetto che stava elaborando, il World Artist Tour, in cui aveva inserito opere di artisti del calibro di Tom Wesselmann, George Segal,, Robert Kushner, Sandro Chia. Gli artisti di questo progetto, oltre a partecipare alla mostra collettiva, dovevano poi circuitare con mostre personali in varie località del Giappone.

I. Mi sembra di capire che questo sia stato un momento cruciale per la sua carriera.

F. C. Sì, perché è stata una consacrazione, un riconoscimento indiscutibile della validità del mio lavoro. Inoltre questo mi ha permesso di rimettermi in gioco nel contesto italiano con una diversa caratura e con una giusta considerazione da parte di galleristi e critici. Questo si aggiungeva ad alcune esperienze espositive molto particolari, per così dire esotiche, che ho fatto in quegli anni. Ricordo con particolare piacere una mia mostra all’isola della Reunion, dove tra l’altro ho avuto la possibilità dopo tanti anni di tenere uno stage ai locali studenti della Scuola d’Arte. Altrettanto particolare è stata l’esposizione che ho fatto a Noumea in Nuova Caledonia.

I. Ma anche in Italia in quegli anni, con la fama che stava crescendo, l’attività è stata intensa.

F. C. In effetti ho avuto tanti contatti, che mi hanno portato a fare anche mostre di rilievo. Su tutte mi viene da ricordare una mostra a Firenze nel 1998 presso la Galleria Tornabuoni e una nell’anno successivo presso la villa Campolieto a Ercolano curata dal critico Angelo Calabrese. In quel periodo poi sono entrato in contatto con un importante critico d’arte, Carmine Benincasa, con cui ho organizzato una mostra ben articolata presso la stessa galleria Tornabuoni.

I. Ha citato alcuni importanti contributi critici. Come vive i rapporti con la critica?

F. C. Da molti punti di vista mi ritengo fortunato. Di solito non mi sono limitato ad affidare a un critico la redazione di un testo sulla mia opera, ma per lo più ho collaborato nella concezione di un percorso, che ha dato vita a mostre e a studi correlati. Però, una volta realizzato il progetto, mi piace confrontarmi e collaborare a nuove esperienze. Per cui di fatto, a parte il caso eccezionale di Giovanni Faccenda che ha curato due miei importanti cataloghi, ho sempre preferito mettermi alla prova confrontandomi con nuovi punti di vista critici.

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La Società Storica incontra “Il bello del libro”

Da quest’anno la manifestazione “Il bello del libro”, locandinai_logo_regione-01importante rassegna valdelsana dedicata al libro illustrato e all’illustrazione in tutte le sue forme ha visto la Società Storica tra gli organizzatori, accanto al Comune di Castelfiorentino e al Comune di Certaldo. In questa edizione, che si è avvalsa della sponsorizzazione del Rotary e del Lyons e che ha goduto del patrocinio della Regione Toscana, sono stati curati direttamente dal nostro sodalizio alcuni eventi di cui daremo conto in specifici articoli.

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Intervista a Fabio Calvetti (seconda parte)

Continua la pubblicazione dell’intervista concessa al nostro sodalizio da questo importante Artista valdelsano. Stavolta vengono ripercorse le sue attività durante gli anni ’80.

I. Da un certo momento la sua attività espositiva sembra rarefarsi. A cosa è dovuto questo fatto?

F. C. Appena conseguito il Diploma dell’accademia, sono dovuto partire per il servizio militare, e questa circostanza mi ha tenuto lontano dal mondo artistico che avevo frequentato fino a quel momento. Come spesso accade in questi casi, ho potuto così guardare con occhi nuovi, e più critici, il lavoro che avevo fino a quel momento portato avanti. Mi sono quindi reso conto che avevo bisogno di trovare modalità espressive più personali, in qualche modo perfino azzerando quello che avevo realizzato.

I. Come si manifesta questo momento di crisi nella sua produzione artistica?

F. C. Ho abbandonato d’emblée la pittura ad olio su tela, che era la mia cifra stilistica precedente. Paradossalmente ho preso questa decisione subito aver vinto un concorso con un’opera fatta con questa tecnica.

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Donna davanti al grande quadro a strisce, 1986, olio su tela, cm. 90×90

 

In quel momento infatti non mi pareva più rilevante il gradimento del pubblico, ma desideravo trovare la mia strada. Tra l’altro in quell’opera questo mio stato d’animo è già evidente, perché sia il soggetto scelto – un nudo femminile colto in un atteggiamento quasi introspettivo, – sia la presenza di elementi geometrici per me inusitati fino a quel momento, e che non ho poi ripreso nei quadri successivi, segnalano questa mia forte esigenza di rinnovamento.

I. Tra l’altro nei primi anni ’80 la sua vita cambia anche dal punto di vista degli impegni professionali.

F. C. Certamente, infatti nel 1982, dopo che avevo intrapreso la carriera dell’insegnamento nelle scuole, decisi di partecipare a un concorso pubblico nel Comune di Certaldo per un ruolo particolare, ovvero quello di insegnante per la scuola comunale di Disegno. Ho affrontato questo esame con molta curiosità, senza sapere fino in fondo cosa questa mansione avrebbe comportato. Sta di fatto che, una volta vinto il concorso, seguendo le indicazioni dell’Amministrazione che voleva innovare l’offerta formativa, mi trovai a dover fare un progetto sull’educazione all’immagine da svolgere in orario scolastico e extrascolastico. In Valdelsa si trattava di una novità perché un’esperienza simile esisteva solo a Pistoia. Mi viene da ricordare con affetto il luogo in cui questa esperienza maturò: si trattava della villa di Canonica, che purtroppo versa oggi in gravissime condizioni, ma che allora fu attrezzata nei suoi saloni per ospitare varie attività, come grafica e ceramica. Nonostante la suggestione degli ambienti, alcune difficoltà logistiche portarono dopo pochi anni a trasferire le attività, tra l’altro arricchite da laboratori video e teatrale, all’interno della scuola materna nella stessa località di Canonica. Mi verrebbe da dilungarmi ricordando alcuni dei miei collaboratori di quegli anni come Donatella Bagnoli, vocata all’attività con i bambini più piccoli, mentre Giovanni Crippa e Katia Massai curavano il laboratorio di Ceramica; e poi Carlo Romiti che trasferì da noi un laboratorio teatrale che in forma embrionale aveva già iniziato a Montaione, o Leonardo Moggi, a cui fu data la possibilità di proporre e gestire percorsi di educazione cinematografica avvalendosi di strumentazioni di un vero e proprio laboratorio video allestito grazie a finanziamenti regionali.

I. Ritiene che questa attività nei Laboratori sia stata per lei un arricchimento anche sotto il profilo artistico?

F. C. Solo sotto alcuni aspetti, direi più che altro dei rapporti umani e dello sviluppo di competenze organizzative. Io difatti ho sempre tenuto distinto il mio lavoro presso i Laboratori dalla mia ricerca artistica, che in quegli anni proseguiva senza particolari obblighi, e quindi in una situazione per me ideale. Gradualmente poi le mie mansioni si sono trasformate fino a vedermi impegnato nell’Ufficio Cultura in un ruolo che prevedeva, oltre alla parte amministrativa, una significativa partecipazione ai momenti di progettazione e gestione dei vari aspetti degli eventi culturali. Da questo punto di vista mi sono reso conto, seguendo eventi come Mercantia o la mostra su Charles Rennie Mackintosh, della complessità e della mole di lavoro, anche creativo, necessari per giungere a soluzioni lineari e chiare come io ho sempre gradito. In quel periodo poi ho realizzato anche molti manifesti per le varie iniziative pubbliche del territorio, le cui impostazioni estetiche spesso erano collegabili con le mie parallele realizzazioni artistiche.

I. Come si è svolta concretamente questa sua fase di trasformazione stilistica?

F. C. In quegli anni ho iniziato un lavoro di ricerca sui materiali e le superfici, ripartendo dal disegno puro con grafite su carta. Gradualmente ho aggiunto elementi cromatici con colori acrilici. Per rendere meno macchinoso il processo della rintelatura delle carte, ho trovato poi più funzionale sperimentare la tavola di legno. Contemporaneamente scoprivo il fascino di nuovi soggetti, spazi interni o oggetti di uso quotidiano che per me erano comunque intrisi di storie umane importanti.

I. Ci sono stati degli artisti che in qualche modo l’hanno indirizzata in questa ricerca?

F. C. In quel periodo mi sono ritrovato ad apprezzare certe scelte artistiche e filosofiche che già aveva proposto Hopper. In realtà all’inizio attingevo più ai ricordi dei miei studi di Storia dell’arte, e solo dopo essermi reso conto di una profonda consonanza nella volontà di rendere attraverso particolari atmosfere e tagli di luce la condizione sofferta dell’uomo contemporaneo, mi sono potuto accostare davvero alla sua opera salvaguardando la mia originalità

I. A parte il legame con questo illustre predecessore, ha costruito rapporti significativi con qualche collega da Lei conosciuto personalmente?

F. C. Oltre che un artista, una persona per me importante è Alain Bonnefoit, che ho incontrato per la prima volta proprio in quegli anni. Gli riconosco una eccezionale generosità e carica umana, e incarna un modo di vivere l’arte, e per certi versi anche la vita, che ai miei occhi risulta pura nel senso che vive ogni momento come tensione creativa e capacità di trasmettere tutto ciò agli altri.

I. Nel 1987, dopo questo periodo di intensa sperimentazione, Lei viene invitato ad un evento di rilievo nazionale a Firenze.

F. C. Si trattava del S.I.A.C. (Salone Italiano Arte Contemporanea) dove alcuni giovani artisti vennero inseriti dal critico Tommaso Paloscia nell’ “Onda verde”; una sorta di selezione di selezione dei più interessanti profili.

I. Potrebbe indicarci, magari facendo riferimento a qualche sua opera, quali tratti ritiene fondamentali di questo suo nuovo modo di fare arte?

F. C. La nuova modalità elaborata in quegli anni, con le naturali variazioni sopravvenute nel tempo, è ancora oggi riconoscibile nella mia opera. In sintesi si tratta di una tecnica mista che prevede l’utilizzo di una paletta di colori caldi molto ristretta ma dove i neri ed i bianchi (la luce e la penombra) giocano un ruolo fondamentale.

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Omaggio alla Rivoluzione Francese (per il bicentenario), 1989, tecnica mista su carta 78 x 96

Naturalmente diventa indispensabile equilibrare tutto con l’uso di un colore “forte” di supporto che abitualmente è il rosso cadmio scuro; colore che ormai contraddistingue la gran parte delle mie opere. Dal punto di vista della composizione ricerco sempre l’essenzialità ed il minimalismo iconografico limitando la scena rappresentata ai soli soggetti principali.

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Un convegno sulle più recenti trasformazioni della Valdelsa senese

Sabato 25 febbraio alle ore 8,30 al Teatro del popolo di Colle Val d’elsa si svolgerà il convegno “Trasformazioni socio-economiche e dinamiche demografiche nella valdelsa senese” organizzato dalla Società Storica della Valdelsa in collaborazione con l’Università di Siena e il Comune di Colle Val d’Elsa. locandina-25Questo momento di riflessione mira a mettere in luce i principali mutamenti avvenuti recentemente, anche a seguito di consistenti flussi migratori, nella realtà socio-economica come pure nel settore educativo e dei servizi della Valdelsa senese. Il convegno, cui partecipano esperti, Amministratori e figure impegnate nei diversi settori presi in esame, prevede anche la partecipazione degli studenti delle scuole superiori.

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Intervista al pittore Fabio Calvetti

Negli ultimi decenni l’arte contemporanea sta segnando in più modi il territorio valdelsano. Allo scopo di rendere più chiara l’incidenza di  tale fenomeno e di coglierne i molteplici aspetti, abbiamo ritenuto opportuno interpellare direttamente coloro che – artisti, galleristi,curatori e  critici – sono stati e sono protagonisti in questo ambito. Cominciamo quindi dall’intervista che Fabio Calvetti, artista certaldese il cui valore è oggi riconosciuto a livello internazionale, ha concesso al nostro consigliere Enzo Linari, nella quale ricostruisce la sua carriera sullo sfondo degli eventi, locali e non, che più lo hanno coinvolto . Vista l’ampiezza dei temi trattati, la pubblicazione avverrà in più fasi, suddivisa secondo i diversi periodi presi in esame.

Gli anni ’70

Intervistatore: Lei ha iniziato giovanissimo a interessarsi di pittura. Quale era il clima culturale in cui si è formato?

Fabio Calvetti: Erano i primissimi anni ’70 e nell’aria si sentivano tutti i fermenti prodotti dal ’68. Io ad esempio, che all’epoca frequentavo da pendolare il Liceo Artistico di via Cavour a Firenze, ho visto occupazioni, manifestazioni studentesche e scontri molto accesi. A questa realtà io mi sono accostato con rispetto, curiosità e perfino adesione in termini ideologici; ma poi, sia perché ero giovanissimo sia per la formazione familiare che mi portava a studiare bene le situazioni prima di lasciarmi coinvolgere in prima persona, non ho partecipato da protagonista a quegli eventi.

I. Ogni giorno quindi faceva ritorno al suo paese natio, ovvero Certaldo.

F. C. Esatto. Qui c’erano le mie radici, e vi trovavo un microcosmo più comprensibile per me, con gli amici, gli impegni sportivi e tutti gli interessi tipici di un adolescente. Aggiungo però che mi ero già creato un piccolo spazio personale; un vero e proprio studio utilizzando un appartamento attiguo alla mia abitazione e per alcuni anni a disposizione della mia famiglia. Avevo acquistato un cavalletto, che per un insieme di affetto, funzionalità e scaramanzia è lo stesso su cui dipingo ancora oggi le mie opere, e in quella stanza potevo in un modo assolutamente libero iniziare le mie sperimentazioni creative. Sento il bisogno di aggiungere poi che in quegli anni a Certaldo avevo la possibilità di vedere mostre di artisti locali, cito tra gli altri i fratelli Marcello e Massimo Tosi, Sigfrido Nannucci, Giancarlo Scarselli, Roberto Fratalocchi, Giancarlo Masini. Questi pittori provenivano da esperienze molto diversificate, e in quel periodo mi hanno permesso di associare strettamente l’opera alla conoscenza dell’autore.

Giunge così il momento della sua prima mostra personale nel 1972.

Avevo solo sedici anni ma per me è stato, per così dire, stranamente naturale presentare alcuni lavori che nel tempo avevo già realizzato. Mi sono sentito incoraggiato dal clima di confronto artistico che si respirava a Certaldo, in cui ognuno rappresentava se stesso e allo stesso tempo sentiva di contribuire a un momento di confronto e di crescita collettiva. In questa prima parte del mio percorso, a partire dalla scelta del mio indirizzo di studi, devo un particolare ringraziamento alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto dandomi fiducia e responsabilità. In particolare la prima mostra della mia vita è stata resa possibile nei fatti da mio padre, perché ha trovato uno spazio dove potevo esporre le mie tele. Si è trattato di un fondo commerciale momentaneamente non utilizzato che si trovava però nella via centrale del Paese. Ebbi anche la soddisfazione, si può immaginare quanto importante per un giovane di quell’età, di leggerne una breve recensione sul quotidiano la “Nazione”!

I. Altra tappa per Lei importante si ha nel 1975,

Manifesto della mostra del 1975 a Castelfiorentino

Manifesto della mostra del 1975 a Castelfiorentino

con la seconda mostra personale a Castelfiorentino presso la galleria “Miraggio”. 

F. C. Mi era già capitato di vedere a Certaldo opere esposte di autori valdelsani, tra cui Sirio Mori e Bruna Scali di Castelfiorentino, perché comunque vi era una certa circuitazione degli artisti locali. All’epoca però in valdelsa l’unica galleria privata si trovava proprio a Castelfiorentino. Nell’ambito della loro programmazione espositiva hanno avuto modo di presentare le opere di artisti importanti, nonché di alcuni miei insegnanti fiorentini. Partecipando come fruitore a questi eventi ho potuto così conoscere il gallerista, Vincenzo Betto, e organizzare con lui questa esposizione.

Presentazione di Ciabani per la mostra del 1975

Presentazione di Ciabani per la mostra del 1975

Ancora una volta mi trovo a constatare la grande fiducia che veniva riposta in un giovane di appena diciannove anni. Anche da questo riconoscimento ho tratto una forte spinta a sviluppare la mia personale ricerca artistica e a proseguire i miei studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze.

I. Così nel 1978 arriva la sua la seconda personale a Certaldo, stavolta in uno spazio ufficiale come la saletta comunale di via 2 giugno. Il titolo scelto, “Nigger go home” sembra ancora risentire della fase storica che si stava vivendo. 

Il manifesto della mostra "Nigger go home"

Il manifesto della mostra “Nigger go home”

F. C. Era infatti una mostra tematica, caratterizzata da un forte impegno sociale. Ero molto colpito da alcuni problemi come la discriminazione razziale, e concepivo l’arte come uno strumento d’impegno e denuncia. Ricordo tra l’altro che all’epoca era frequente che un pittore venisse considerato sostanzialmente come un “operatore culturale”. Devo notare però che un altro aspetto molto interessante di quel periodo era il rapporto diretto che io come autore avevo con i possibili acquirenti. Ricordo che in quegli anni cominciava a svilupparsi un interesse più ampio presso i privati per la pittura, che diventava anche un arricchimento riconosciuto della casa.

I. Si è trattato quindi di un momento molto significativo per la sua maturazione artistica?

F. C. Sì, anche perché in quel periodo ho fatto parte con alcuni studenti selezionati del “Collettivo dell’Accademia di Belle Arti” promosso da Fernando Farulli, mio insegnante e per certi versi mio nume tutelare.

Fernando Farulli - Foto Fabio Calvetti

Fernando Farulli – Foto Fabio Calvetti

Ricordo che eravamo circa una decina, e ci riunivamo regolarmente per confrontarci e dibattere i temi dell’Arte Contemporanea impegnandoci in esposizioni tematiche. Per un paio di estati poi , sempre grazie a Farulli, venne coinvolta l’Amministrazione Comunale di Piombino e con essa realtà sociali del luogo come Acciaierie o lavoratori portuali. Dall’accademia di Firenze partiva un camion con tutte le attrezzature necessarie per dipingere, e noi passavamo un mese a Piombino ospitati in un hotel; da qui uscivamo ogni giorno per immergerci nei luoghi del lavoro, fabbriche o battelli, per incontrare le persone e fare schizzi che poi rielaboravamo in una grande palestra che ci era stata messa a disposizione.

Il !Colletivo dell'Accademia! in un invito a una loro mostra

Il Colletivo dell’Accademia in un invito a una loro mostra

Dalla esperienza di studenti/pittori nasceva alla fine una mostra sulla nostra rappresentazione delle varie realtà sociali e un incontro con il pubblico che mi ricordo sempre molto coinvolgente.

I. Nella seconda metà degli anni ’70 stavano in effetti mutando le politiche culturali. Nella sua Certaldo, ad esempio, fu valorizzata come sede espositiva Palazzo Pretorio, che peraltro già nel 1966 era stato sede della rassegna di opere prodotte da artisti contemporanei in omaggio a Boccaccio.

F. C. Infatti mi resi subito conto anch’io di questo cambiamento, che portava gli Enti locali a intervenire e diventare protagonisti nell’ambito degli arti visive, programmando eventi espositivi e trovando spesso un contenitori prestigiosi, per l’appunto Palazzo Pretorio nel caso di Certaldo, in cui svolgere queste manifestazioni. Sono convinto poi che questo interesse sia stato favorito nello specifico certaldese dalla grande attenzione già esistente verso la cultura e più specificamente per la letteratura e il teatro legati alla figura di Boccaccio. Sono altrettanto convinto che siano da riconoscere i meriti degli Amministratori certaldesi di quegli anni per l’allargamento alle Arti Visive, a partire dall’Assessore alla Cultura Sandra Landi e dal Sindaco Alfiero Ciampolini.

I. E Lei ricorda di aver visitato qualche mostra a Palazzo Pretorio in quegli anni?

Copertina catalogo mostra di Werner Klemke

Copertina catalogo mostra di Werner Klemke

F. C. Ne ricordo alcune molto belle ed articolate nell’ampio percorso del Palazzo Pretorio, che scoprivo capace di valorizzare artisti di livello nazionale e internazionale. Mi tornano davanti agli occhi le mostre di Carlo Levi, Tono Zancanaro e Werner Klemke.

Fernando Farulli impegnato nell'allestimento della sua mostra a Palazzo Pretorio. - Foto Fabio Calvetti

Fernando Farulli impegnato nell’allestimento della sua mostra a Palazzo Pretorio. – Foto Fabio Calvetti

Un impatto molto forte ha avuto su di me, per varie ragioni, la mostra dedicata a Fernando Farulli; ad essa tra l’altro ho potuto collaborare per la parte degli allestimenti e ho documentato questi momenti attraverso alcune mie fotografie. In quegli anni infatti mi ero rivolto con grande attenzione alla fotografia, ritenendola essenziale per acquisire una vista più accurata sulla realtà. Avevo anche allestito nel seminterrato della mia abitazione una camera oscura in cui sviluppavo e stampavo personalmente in bianco e nero i miei scatti.

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Ancora un fumetto su Bianchi Bandinelli

L’attività degli studenti impegnati a trasferire nel mondo a nuvolette personalità e situazioni storiche della Valdelsa continua senza sosta. Stavolta è Matteo Ciappi, alunno della IV C del Liceo Linguistico “San Giovanni Bosco” di Colle Val d’Elsa

Bianchi Bandinelli secondo Matteo Ciappi

Bianchi Bandinelli secondo Matteo Ciappi

ad aver realizzato questa splendida illustrazione a fumetti di Ranuccio Bianchi Bandinelli che presenta orgogliosamente uno dei  reperti etruschi più interessanti da lui scoperti nelle nostre terre. Si tratta del sarcofago della tomba dei Calisna Sepu, attualmente conservato nel Museo Archeologico di Colle.

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Presentazioni fumetti storici realizzati nelle scuole

Sabato 22 ottobre alle ore 17,00 presso la sala conferenze Accabì di Poggibonsi si è svolto l’incontro “Il fumetto storico a scuola”, organizzato dalla Società Storica della Valdelsa con il patrocinio del Comune di Poggibonsi.           locandinaNel corso della serata sono state presentate le decine di opere a fumetti realizzate dagli studenti di classi della scuola secondaria inferiore “Leonardo da Vinci”  di Poggibonsi e del Liceo “San Giovanni Bosco” di Colle Val d’Elsa nell’ambito del progetto “Il fumetto come ambiente di apprendimento del territorio”. La Società Storica ha promosso questa iniziativa nelle scuole per stimolare in maniera ludica l’attenzione degli studenti sui molteplici aspetti che caratterizzano la storia locale, ma anche allo scopo di favorire l’integrazione nella nostra realtà dei giovani che provengono da altri contesti culturali.fumetti

Tra i temi che gli studenti,  coadiuvati dai  loro insegnanti,  hanno rappresentato spiccano la storia di Poggibonsi, la figura di Ranuccio Bianchi Bandinelli, il vino Vernaccia di cui ricorre quest’anno il 50° della Doc, nonché eventi e personaggi del periodo della seconda guerra mondiale in Valdelsa.                                                        

Sabat                                             

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